TATTOO. Da marchio maledetto a mainstream
La mostra permette un viaggio affascinante tra il tatuaggio orientale e quello occidentale, da simbolo della marginalità a potenza espressiva dell’arte contemporanea.
Nell’antichità il tattoo è visto come il marchio degli sconfitti. Quest’aura di estraneità viene ampliata nel ‘700 quando i navigatori europei raggiunsero l’Asia e l’Oceano Pacifico.
La parola “tattoo” ha origine polinesiana. Proprio l’incontro con queste popolazioni costituisce il momento decisivo di una tessitura simbolica in cui precipitano esotismo e costruzione culturale del “selvaggio”.
Grazie ai prestiti del Museo delle Civiltà di Roma verranno presentati strumenti collegati al tatuaggio provenienti dall’Asia e dall’Oceania, foto storiche scattate da Felice Beato nel Giappone dell’800 e fotografie dei Maori della Nuova Zelanda.
sarà ripresa dallo studioso Cesare Lombroso che collega la condizione dei criminali tatuati con quella dei primitivi, collocando la pratica nell’ambito scientifico.
Disegni e oggetti provenienti dal museo di Antropologia criminale Cesare Lombroso e dal museo di Anatomia di Torino costituiranno parte integrante dell’esposizione ove il materiale storico e iconografico dialoga con la cultura contemporanea del tatuaggio.
Aumentano quei protagonisti dell’arte contemporanea, linguaggio ben più elitario e criptico, che utilizzano il tatuaggio come uno strumento espressivo che non discende solo dalla Performance ma incontra persino il concettuale.
Gli esempi: Wim Delvoye ha tatuato grossi maiali lasciati morire di vecchiaia; Santiago Sierra ne fa un uso politico; Dr. Lakra si dedica a minuziosi interventi di street art; Valie Export e Mary Coble trattato temi legati al femminismo. Tra gli italiani le fotografie decorate da Plinio Martelli e le statue in marmo di Fabio Viale.
Tra i tatuatori contemporanei: Tin-Tin, Filip Leu e Horiyoshi III.
TATTOO. L’ARTE SULLA PELLE
A cura di
Luca Beatrice, Alessandra Castellani e MAO
MAO Museo d’Arte Orientale
Credits: © Courtesy of MAO
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