Anche il tessile, alla pari dell’elettronica o degli imballaggi, è tra le “principali catene del valore” su cui l’Unione europea ha impostato il suo ambizioso piano d’azione per l’economia circolare. Il motivo è presto detto: a partire dal 2000, con l’avvento del fast fashion, la produzione globale di capi d’abbigliamento è raddoppiata fino a sfiorare i 100 miliardi di unità, proprio mentre scendeva del 36% il numero medio di utilizzi di ciascuno di essi.
Secondo la Fondazione Ellen MacArthur, ogni anno i consumatori mandano in fumo 460 miliardi di dollari buttando nella spazzatura vestiti che hanno indossato solo una manciata di volte. Poi è arrivato il Covid-19 che si è abbattuto sull’intero comparto con l’irruenza di uno tsunami: McKinsey prospetta per il 2020 un crollo dei profitti globali pari al 90%, indicando l’Europa come la zona più in difficoltà viste le vendite in calo del 22-35%.
“Sarà una transizione epocale, ma noi Italiani partiamo avvantaggiati perché un campione di economia circolare ce l’abbiamo in casa: è lo storico distretto tessile di Prato”, continua Rulli. Con 2mila imprese e oltre 15mila addetti, è il polo più grande d’Europa e resta il vero motore economico di territorio. Nel solo 2019 ha raggiunto i 2 miliardi di dollari di export, cioè l’80% del totale provinciale (dati CDP – “L’economia toscana: le 5 eccellenze da cui ripartire”). Più volte il distretto pratese ha subito pesanti crisi, dal tracollo della domanda di lana negli anni Ottanta alla crisi finanziaria globale del 2009, fino al lockdown che ha costretto il 95% degli addetti a fermarsi. Ogni volta, però, ha reagito all’insegna dell’innovazione, della collaborazione di filiera e della sostenibilità ambientale.
“La nostra azienda è nata con la missione di trasformare un problema, quello della gestione dei materiali a fine vita, in risorsa. Questo compito richiede tecnologie di primo livello e una profonda conoscenza dei materiali e dei mercati”, spiega Fabrizio Tesi, titolare di Comistra. L’azienda recupera la lana da maglie e vestiti usati e le dà una nuova vita attraverso il suo impianto completo di carbonizzazione e stracciatura ad acqua, l’unico al mondo ancora operativo. Classificando gli stracci a seconda del colore e mescolandoli tra di loro, arriva a realizzare oltre 250 tonalità. “Ci piace dire di essere sostenibili e circolari da quando nessuno immaginava l’esistenza di una green economy. Abbiamo voluto portare questa nostra vocazione a un livello successivo, iniziando un percorso con Process Factory che ad oggi si è concretizzato nell’implementazione del progetto Chem 4sustainability® per l’eliminazione delle sostanze chimiche tossiche e nocive dai cicli produttivi”.
Il monitoraggio delle sostanze chimiche impiegate nell’intero ciclo di produzione (catena di fornitura compresa) è uno dei pilastri di un ampio percorso ribattezzato MantEco for Planet®. “Manteco nasce sostenibile già durante la Seconda Guerra Mondiale, quando inizia la produzione di filati ottenuti dalla rigenerazione di vecchi indumenti e coperte militari”, racconta Matteo Mantellassi, Ceo di Manteco. Nei decenni, l’azienda riesce a portare il riciclato alla moda di lusso, grazie a continue innovazioni e investimenti in nuove tecnologie che hanno come esito anche il deposito di diversi brevetti. “Sempre in ottica di economia circolare, per concretizzare il nostro impegno nel ridurre gli scarti di produzione del settore abbiamo avviato due progetti che sono uno l’evoluzione dell’altro. Dopo aver portato a regime il riutilizzo dei nostri scarti di produzione, con Project43 recuperiamo, gestiamo e ricicliamo in modo totalmente tracciato anche i ritagli di confezione dei nostri clienti. Con Project53, invece, recuperiamo dai clienti anche i ritagli di confezione di tessuti prodotti da altre imprese e maglie invendute o difettate, creando da questi materiali sulla carta a fine vita nuovi tessuti di lusso”.
“Questi esempi dimostrano in modo incontrovertibile che l’economia circolare non è un ideale ma una realtà”, commenta Francesca Rulli. “Affinché questi esempi virtuosi diventino sistema, però, serve un apparato normativo che li agevoli. Attualmente accade proprio il contrario perché dal 2017 gli scarti di lavorazione tessile sono inquadrati come rifiuti speciali, il che porta con sé una serie di adempimenti molto onerosi soprattutto per le microimprese che, in Italia, sono l’assoluta maggioranza. Mi sento quindi di sposare la battaglia che Fabrizio Tesi porta avanti in questo senso da tempo. Proprio di recente, il ministro della Transizione ecologica Roberto Cingolani ha tessuto le lodi della nostra cultura dell’economia circolare, promettendo di darle ulteriore impulso attraverso il recovery fund. Basterebbe qualche piccola modifica al Testo Unico Ambientale per spianare la strada a chi lavora con serietà per il recupero e il riciclo dei materiali”.
Da gennaio 2022, intanto, la raccolta differenziata dei “rifiuti tessili” diverrà obbligatoria. Anche il Piano nazionale di ripresa e resilienza (Pnrr) presentato dal premier Mario Draghi fissa il target del 100% di recupero dei rifiuti tessili mediante i “Textile hubs”. Un’altra occasione importante per innovare logistica e produzione massimizzando la riduzione di impatto ambientale sulle variabili acqua, energia ed emissioni di CO2 riferibili alle pratiche di recupero e riuso.
Credits: © Courtesy of Stand Out Comunicazione
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