Maria Grazia Chiuri, la direttrice artistica della Maison Dior, continua il tema dell’empowerment femminile ma con un tocco più da maschiaccio.
“Gli anni ’60 furono il decennio delle celebrità. Per la prima volta le modelle diventarono personalità pubbliche. Fu un’epoca di grandi traguardi e ricca di inventiva, in cui queste ragazze inventarono se stesse.” Diana Vreeland.
Gli anniversari possono essere straordinari volani di rimandi. Ricordare è anche reinventare e immaginare. È la vitalità del 1968, l’immaginazione al potere, di cui quest’anno ricorrono i cinquanta anni, a essere per Maria Grazia Chiuri l’occasione per ritornare a quel momento in cui la moda ha cambiato le sue regole in una intensità collettiva che ha visto i giovani diventare i protagonisti, grazie alla circolazione delle idee, alla creatività per la creatività, al cut-up, alla ricerca pura, al viaggio come scoperta dell’altrove ma anche di se stessi.
Per la collezione prêt-à-porter autunno-inverno 2018-2019, la direttrice artistica di Dior ha tratto ispirazione da quei segni del folklore che potessero essere bandiera dall’autenticità. Allora sono i fastosi ricami di lana sull’organza degli abiti, il jeans operato e stampato, le borse ispirate a modelli dell’archivio con la bandoliera etnica, oppure il patchwork, fatto con tessuti dell’archivio Dior che definisce una serie di pezzi che diventano finestre sul mondo. O il poncho portato senza preoccuparsi dell’abbinamento. Le decorazioni sono un valore perché diventano narrazione delle diverse culture.
La collezione si muove in una dimensione di libertà inventiva e combinatoria sia nelle forme, sia nei materiali: quella libertà di essere e di scegliere come rappresentarsi che Chiuri ha sempre rivendicato per le donne contemporanee. Il kilt è declinato in lunghezze diverse ma anche in materiali imprevedibili come il point d’esprit e abbinato a giacche maschili o piccoli cappotti. Molta maglieria, anche ricamata segue e accoglie liberamente i corpi. I vestitini borghesi si accorciano su alti stivali ispirati a quelli dei motociclisti. È lo sguardo della moda che la guida nel ritornare a quegli anni incredibili, perché cambiare il mondo vuol dire anche cambiarsi d’abito.
È Diana Vreeland, carismatica direttrice di Vogue America dal 1963 al 1971, a coniare la definizione Youthquake e a individuare le Youthquaker: perché cambiano i tempi e insieme cambiano anche i corpi, le facce, ed è l’attitude e la personalità che innestano quella rivoluzione vestimentaria, conseguenza di “quel cielo caduto sulla terra” che cambierà per sempre il nostro modo di vestire. La moda viene messa in crisi, ma è la moda stessa a reinventarsi e a offrire una nuova narrazione che tiene insieme tutto e il suo contrario. Se il 12 settembre 1966 un gruppo di ragazze in minigonna, come le vediamo in una foto di quegli anni, sfila davanti alla boutique Dior con dei cartelli su cui campeggia la scritta: Mini Skirts forever, Marc Bohan direttore creativo della Maison in quegli anni, inventa la linea Miss Dior e riaggiorna quella idea di femminilità plasmata da Christian Dior.
Con questa collezione, invece, Maria Grazia Chiuri controbilancia apertamente il ritorno al concetto di uniforme e divisa, per riportarci a quella rivendicazione dell’essere persone al di là delle differenze di genere, e dell’eguaglianza di diritti e doveri che rimane la grande conquista di quegli anni.
Credits: © Courtesy of Christian Dior Couture Pr