Domenico Orefice, designer dell’omonimo brand, presenta la sua nuova collezione A2 P-UR 25 // “Post-Urban Refuge”, un’evoluzione della linea A1 R1 25.
La collezione esplora il delicato equilibrio tra la frenesia della vita urbana e il desiderio di un rifugio naturale, riflettendo il bisogno di armonizzare la modernità con spazi sereni e incontaminati.
A2 P-UR 25 si distingue per la sua struttura a doppio strato, che permette a ogni capo di adattarsi a diverse condizioni climatiche. Un’innovazione che promuove un approccio più sostenibile alla moda, riducendo gli sprechi e ottimizzando l’utilizzo delle risorse. La scelta di tessuti italiani di alta qualità, come quelli del Gruppo Cinque, garantisce comfort e durata nel tempo.
I capi risultano versatili, funzionali e pronti per ogni situazione, genderless e seasonless, ideali per esploratori urbani e avventurieri del mondo.
Orefice sceglie la profondità del nero come nuance principale, arricchita da dettagli metallici che aggiungono una dimensione sofisticata e moderna, richiamando l’energia del mondo urbano e il dinamismo del contesto digitale.
Il jersey è protagonista, un tessuto spesso associato alla praticità, ma che in Post-Urban Refuge viene reinterpretato, trasformandosi in emblema di eleganza e flessibilità.
Il designer torna alla Fondazione Sozzani per raccontarci Post-Urban Refuge e il riflesso dell’idea che, nel mondo contemporaneo, il vero lusso risieda nella capacità di muoversi senza costrizioni, di essere pronti ad affrontare la complessità dell’ambiente urbano senza rinunciare al contatto con la natura.
E se da un lato il tempo rallenta con “Urban The Ceremony” che ci invita all’interno di una tenda beduina, seppur total black, dove sarà servito tè verde, selezionato appositamente per l’evento, grazie alla collaborazione con La Via del Tè, dall’altro saremo trasportati nella realtà virtuale.
Con un’esperienza immersiva, realizzata in collaborazione con l’azienda Bilda, i visitatori verranno trasportati attraverso un suggestivo percorso montano che culmina nella visione di una Milano post-apocalittica.
Questo scenario si presenta non solo come esplorazione visiva, ma come critica alla sovrapproduzione e all’impatto ambientale dell’urbanizzazione, offrendo una riflessione profonda sul nostro rapporto con l’ambiente.
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