La scoperta di una mappa dei cinque continenti, Christian Dior in the world, opera dell’incisore Albert Decaris, all’interno di una preziosa pubblicazione del 1953 che racconta la Maison e ne fotografa l’espansione nel mondo, è la focale che, insieme allo statement: “una collezione completa deve rivolgersi a tutti i tipi di donne di tutti i paesi” letto in Christian Dior & moi, orienta Maria Grazia Chiuri per la collezione di Haute Couture che celebra i settanta anni del marchio.
Il dispositivo dell’atlante esprime per Chiuri la Wanderlust, la necessità del viaggio come scoperta del mondo e scoperta del sé, come emozione, crescita, mutamento. È il suo viaggio da Roma a Parigi. È la sua esplorazione dell’heritage Dior alla ricerca di quei codici capaci di orientare la volubile mappa continuamente aggiornata da una nuova generazione di donne. Irrequiete come lo erano quelle prime donne esploratrici, capaci di superare frontiere geografiche e mentali. Chiuri è attratta da queste eroine e dal modo in cui usavano elementi del guardaroba maschile mescolati a pezzi etnici. Lei parte da qui per rileggere quella couture da giorno in cui Monsieur Dior era maestro.
Innesta i gesti e le pose più contemporanei e persino quelli all’apparenza più destabilizzanti per costruire una serie di sequenze perfette impastate nel grigio tanto amato da Dior. Usa quei tessuti maschili e li trasforma con la sua sensibilità e le nuove tecnologie in superfici cangianti, chiaroscurate che definiscono giacche, cappotti, chemisier, tute che paiono piccoli blusotti da aviatori e si aprono in sontuose gonne pantalone a pieghe. Mentre il feltro maschile è ispirato a Stephen Jones da quello di una viaggiatrice come Freya Stark.
È il ritorno alle origini a tracciare un percorso che per Chiuri diventa una mappa delle emozioni che si declina in una serie di atlanti dei colori, dei fiori, dell’amore, dei tarocchi ricamati su cappe e abiti da sera costruiti nel tulle e nella seta, ancora grigi ma sfarinati nel rosa, oppure nella sontuosa materia dai colori notturni del velluto, in una fantasmagoria che riporta a una cartografia immaginifica che inventa e ribalta il punto di vista e ci ricorda quegli interni, decorati da atlanti da parete, o abitati da mappamondi che in una serie di dipinti ci raccontano la potenza dell’erranza letteraria al femminile, impastata di esplorazioni culturali e di stile, messe in scene in quei salotti, luoghi di confronto, di articolate conversazioni che avevano al centro la conoscenza del mondo come crescita culturale. Conoscenza del mondo che è stata il motore delle esposizioni universali, come quella memorabile del 1900 a Parigi.
Pietro Ruffo, artista con cui Chiuri ha un sodalizio creativo, dà forma all’utopia di dispiegare in un unico luogo la conoscenza della terra e del cielo. La volta terrestre e quella celeste sono tracciate dal gesto poetico in forma di due stelle speculari. Dalla geografia del suolo a quella dello zodiaco, dagli animali e dalle piante ai pianeti e agli astri. Ma è la semplicità del gesto creativo di Dior, che nel suo atelier come un geografo usa la canna per indicare e semmai riconsiderare parti dell’abito, che ci riporta al cartamodello.
Mappa fondamentale, che misura e definisce il corpo, nella costruzione di quegli oggetti che dialogano con l’arte e che sono il sogno dell’Haute Couture.
Credits: © Courtesy of Christian Dior Couture PR
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