Intervista con Annamaria Tartaglia, punta di diamante della 24 Ore Business School

The Show must go on Social? Digitalizzazione e Sostenibilità sono i nuovi paradigmi del Sistema Lusso? Abbiamo intervistato Annamaria Tartaglia, Coordinatrice scientifica dell’area Luxury&Fashion Management per 24ORE Business School, presente da oltre 25 anni nel mercato dell’Education e dell’Ata Formazione Manageriale.

The Show must go on Social? | Intervista alla 24 Ore Business School 
© Annamaria Tartaglia

1. 18-22 giugno 2021, la Moda riparte da Milano con il Menswear. Confermato anche il Pitti in presenza. Si torna pian piano alla normalità oppure indietro non si torna?

Entrambe. Da una parte è una necessità e dall’altra è un’espressione di questo mondo e le spiego che cosa intendo. La moda e le sfilate comunque sono sempre state il culmine, il palcoscenico prediletto per far vedere un lavoro di creatività, di ricerca, di cura, di studio ma anche di stupore perché le sfilate sono belle, sono anche la celebrazione di quella che è la parte estetica quindi rappresentano a tutti gli effetti, hanno sempre rappresentato, un momento di condivisione di quello che è il lavoro fatto dagli stilisti, dai designers, è un momento d’incontro con la stampa, è un momento d’incontro con le Celebrities piuttosto che con gli Influencers, comunque è un momento anche dove le persone normali, gli appassionati di moda hanno avuto nel tempo la possibilità di essere coinvolti. Quindi è sempre stato un momento di celebrazione, all’inizio più esclusivo ma poi negli anni anche collettivo, condiviso in streaming prima ancora della pandemia perché molto spesso sono stati gli stessi marchi a decidere di aprirsi di più verso il consumatore finale e di far vedere quelle che erano le loro creazioni in diretta sui diversi canali Social, quindi tuttavia prima ancora della pandemia un certo tipo di apertura verso quello che erano i diversi pubblici sparsi per il mondo veniva comunque fatto.

Nell’ultimo anno e mezzo la chiusura è stata forzata, obbligata, aveva qualcosa di quasi irreale, vedere queste sale vuote senza pubblico o addirittura pensare degli eventi totalmente digitalizzati e in molti casi quasi una “dimisketion”, non un evento effettivo, hanno saturato certamente le persone e quindi il fatto di ritornare in presenza, ritornare a poter far vedere le cose, poter far toccare i tessuti, poter far interagire le persone anche a livello umano, a livello personale anche a livello di cambiarsi le opinioni non attraverso lo schermo ma in forma reale. Magari non si potranno fare grandi eventi almeno ancora per qualche tempo, però la necessità di ritrovarsi è una necessità molto sentita per cui io non credo che sia un “indietro non si torna” credo sia un modo diverso quello che noi avremo quindi quella che viene definita una “nuova normalità” nell’approcciare questo mondo. Sicuramente meno prodotto, meno sfilate, meno persone, maggiore qualità, maggiore ricerca, maggiore personalizzazione quindi più cura forse, questo è un po’ il modo in cui immagino, voglio immaginarmi e della direzione in cui si sta andando, pertanto non solo quello che è la sfilata in sé ma anche tutto il mondo delle fiere, il mondo degli eventi, il modo di presentare quelli che sono i nuovi prodotti necessita comunque di una prova di contatto umano. Poi dopo sicuramente si potrà vendere in parte sulle piattaforme digitali, potranno essere rivisti sui Social, si potranno fare tante cose ancora digitali ma la parte fisica rimane comunque un’esigenza fondamentale.

2. La Moda e i Social. Ubiquità ed Esclusività. È una dicotomia, giacché i brand di lusso si sforzano di essere inaccessibili e ovunque allo stesso tempo.

Farei una distinzione. Noi molte volte mettiamo dentro il concetto Lusso tante cose anche quello che in realtà Lusso non è. La moda non è propriamente Lusso. Il Lusso è arrivato ad avere una grande accessibilità per cui dipende da quali sono i segmenti di cui noi stiamo parlando, quali sono i consumatori che noi vogliamo raggiungere, di quale tipo di Brand parliamo. Ormai è vero che è necessario “in qualche modo essere sui Social”. Però è anche vero che la grande differenza la fa poi il contenuto che viene creato, quindi in quale modo io uso i miei social, con quale funzione, rispetto a quale target voglio andare a raggiungere, rispetto a quale paese, pertanto è vero che ho bisogno di essere sui Social perché i social sono, insieme agli influercers, il primo modo oramai per le giovani generazioni di informarsi, di capire che cosa è il brand, di vedere il prodotto, di entrare in contatto con il mondo del brand. Il social è anche il modo per vivere una esperienza quindi se il social è semplicemente unidirezionale non è questo che sta cercando il consumatore finale. La funzione dei social è comunque quella di far entrare i clienti effettivi o potenziali all’interno della storia del brand, all’interno del mondo del brand e in qualche modo portarli a capire di che cosa stiamo parlando, farli innamorare di quel brand, di quel prodotto, fargli sentire parte di una certa comunità, far in modo che possano costruire contenuti che vanno a condividere con i loro amici ma anche sviluppino un certo modo di essere della persona che entra nell’area, nell’orbita di quel brand. Quindi in qualche modo è vero, io sono quando decido di essere sui social “obliquo a me”, obliquo rispetto a quel social e al tempo stesso “esclusivo rispetto al target” che io voglio raggiungere perché sono i contenuti che mi danno un po’ di esclusività e mi dicono esattamente chi comprende di me che cosa, quella nella maniera più corretta.

Posso anche scegliere di non essere sui social perché ci sono brand che non ci sono e decidono di limitare la loro presenza, di limitare il loro uso degli influencers e decidono anche di lavorare in maniera diversa sui social stessi, quindi direi che in realtà più che una Dicotomia, perché è più obliquo essere esclusivo è vero, apparentemente è folle, ma è anche una questione di come comunico, dove comunico, cosa comunico, questo mi serve in realtà per andare a creare conoscenza e riconoscibilità del mio marchio, poi dopo la scelta successiva è effettivamente come voglio segmentare il mio cliente, chi voglio davvero coinvolgere rispetto a un certo tipo di collezione, chi voglio coinvolgere rispetto al tipo di eventi, iniziative e relativamente a questo poi i contenuti che ho sui social. I social danno effettivamente alle persone la sensazione di fare parte di quel mondo ma la realtà vera è che poi il contenuto dei social, cioè un evento esclusivo, anche se condiviso sui social, rimane un evento esclusivo per pochi quindi il condividere quello che accade racconta agli altri che cosa sta accadendo ma non gli consente di essere lì e di viverlo in prima persona.

È per questo che Ubiquità ed Esclusività rimangono in qualche modo contrapposti, il brand non perde la sua esclusività perché l’ubiquità di presenza (quindi su un social) non vuol dire esclusività di iniziativa rispetto ad un target. Io lo valuto molto sotto questo aspetto.

3. Dopo un così lungo periodo di Digital Fashion Week la considerazione forse più delicata che arriva riguarda l’informazione. L’Informazione non filtrata rischia di essere populista?

Credo che negli ultimi tempi (questa è se vuole una critica che io faccio non solo al mondo della moda ma un po’ in generale) il fatto di pensare che basti postare qualcosa, qualunque cosa per avere likes e per avere del seguito e “chiunque si reputi capace di farlo”. In realtà non è proprio così perché costruire un contenuto, soprattutto un contenuto di qualità che racconti la storia di un Brand o si focalizzi magari se c’è un legame con l’arte o con la cultura, un’informazione che racconti in maniera corretta, in maniera emozionante, che non duri cinque secondi di un like e buttata via, quello che viene fatto richiede un percorso molto articolato e non qualunquista. Quindi alle volte bisogna anche accettare di non piacere proprio a tutti e di non essere proprio per tutti quindi anche l’ambito di quello che è l’informazione non tutti possono essere degli esperti in moda ovviamente, non tutti potranno fare l’influencer o gli influencers. Per fare un mestiere, per fare una professione bisogna comunque avere un certo tipo di attitudine, un certo tipo di conoscenze, di competenze, anche per chi si occupa di moda, ora veda dalla parte giornalistica o influencer, dalla parte del brand quello che conta è la qualità e quello che io trovo è che sia sempre più difficile costruire contenuti di qualità che siano chiaramente comprensibili, accessibili, fruibili, ma che mantengano uno standing elevato quindi che non siano banali. Il fatto che io abbia 20 milioni di followers vuol dire tutto e niente perché quello che mi interessa è capire la qualità di queste persone, non è la quantità quindi anche in questo caso è sono “populista” nel momento in cui io voglio arrivare ad avere milioni di persone che mi clicchino e mettano un like, la domanda invece è quante di queste persone nel mettere quel like si fermano ad osservare il contenuto, lo comprendono ed effettivamente mettono un mi piace avendo poi un passaggio successivo che è quello di portarsi a casa, al di là dell’emozione temporanea, qualcosa che invece rimanga, il ricordo rispetto quello che hanno visto e quello che hanno sentito. Qui è chiaro che questo richiede un’operazione più complessa, un’operazione meno superficiale e quindi sì l’informazione non filtrata spesso, come diceva lei prima, è vero è Populista nel senso che chiunque ritiene di averla capita, di averla compresa per il semplice “like” basta dire che è stata accettata ma anche perché poi se non viene riportata, se non viene ricollegata a quel marchio, se non è capace di costruire un percorso diventa tutto abbastanza superficiale. Più che il populista vedo il problema della grande superficialità.

4. Modellare una nuova tipologia di industria della Moda con messaggi di Inclusività e Diversity è fondamentale?

“Nuova tipologia dell’industria della Moda”, non so se lo definirei esattamente così perché in realtà parliamo di temi che non riguardano semplicemente il mondo della moda ma su un grande cambiamento culturale, una grande necessità che arriva da chi oggi acquista il prodotto-moda. È sicuramente un target più giovane, un target più internazionale, sono consumatori che vengono dai diversi paesi nel mondo dove vengono dibattuti da tempo temi come quelle delle diverse etnie, quindi che cosa significa essere multiculturali, che cosa significa ad esempio lavorare su temi di Sostenibilità, che cosa vuol dire lavorare su concetti di sub-culture anche all’interno degli stessi paesi, lavorare molto di più in termini di integrazione. Quindi la moda deve, è quasi “obbligata” a intraprendere questo percorso perché senza questo percorso che altri segmenti hanno già intrapreso da tempo non sarebbe possibile, non dico la sopravvivenza, ma non sarebbe comunque possibile mantenere un contatto con quella che è la realtà di chi acquista perciò in qualche modo vogliamo considerarlo come una necessità partita dal basso, cioè una necessità forse per le prime volte di richiesta di cambiamento e di andare a lavorare su temi non solo a livello di comunicazione ma anche di prodotto, di servizio, di quello che le persone vogliono vedere, vogliono acquistare, trovare nei negozi, vogliono vedere sulle piattaforme e sui social.

Questo è forse il modo più forte e il modo più diretto destinato ad avere un impatto nel medio-lungo periodo. Per la moda è un cambiamento che quasi forzatamente è iniziato negli ultimi anni e che non sempre ha avuto dei risultati positivi perché molte volte sono stati alcuni dei brand più famosi che non hanno tenuto conto di quelli che erano poi le necessità locali, non hanno capito chi avevano di fronte e quindi è una necessità proprio di adattamento.

Inclusione e Diversità sono fondamentali e la moda è arrivata anche ultima rispetto ad altri sull’affrontare questi temi, quindi è in ritardo. Molte volte purtroppo mi ritrovo a dover dire che il modo in cui ha affrontato non ha tenuto conto del tessuto sociale o locale quindi ci sono stati problemi oppure guardando alcune cose che venivano fatte, anche l’Inclusività e la Diversity purtroppo vengono affrontati in maniera molto stereotipata soprattutto nella comunicazione. Anche qui credo che ci sia ancora un grande lavoro da fare. La domanda è come davvero mettere questi temi in una maniera che sia realistica, corretta e comunque condivisa. Laddove non sia uno stereotipo superato per forza o messo a forza, non può assolutamente essere quello il tema. Il lavoro da fare è ancora tanto lungo.

5. Il 1° gennaio 2022 entrerà in vigore l’obbligo di riciclo, un’opportunità per ripensare il business e tracciare un percorso per altri settori?

È una grandissima opportunità ma ancora una volta nasce dall’esigenza di tracciare un percorso alternativo per gli altri settori, ancora una volta la moda non arriva prima in questo. I primi che hanno varato Leggi contro gli sprechi sono stati altri Stati e riguardavano la parte del cibo, non buttare via il cibo perché era uno spreco, quella cosa che poteva essere riciclata per andare a beneficio di chi aveva meno. Il fatto di riciclare apre tutto un mondo che consente di andare prima di tutto a produrre meno, questo è uno dei grandi problemi che ha il mondo della moda, ha prodotto troppo rispetto a quello che era poi possibile che il mercato assorbisse, ha prodotto male perché ha prodotto troppo non sempre con qualità, ha prodotto male nel senso di sfruttamento delle risorse delle persone, quindi in tutto questo nasce anche la necessità di capire cosa fare di quello che resta e cosa fare di quello che resta è chiaro che deve avere un’altra vita. Perché se c’è un costo per produrre c’è un costo per distruggere. Il riciclo consente di far ritornare quello che avanza a materia prima, consente di donarlo, consente di riutilizzarlo quindi in questo caso un cambiamento di un modello di business. Noi oggi nell’ambito della moda parliamo molto di quello che è una second-hand, di quello che è una recycling, quindi sono già dei modelli che sono contemplati dalle aziende proprio perché ci si rende conto che i ritmi a cui eravamo arrivati non erano più sostenibili, non sono più sostenibili e pertanto il fatto di essere in qualche modo legislativamente obbligati a lavorare in un certo modo dovrà per forza di cose dare delle linee-guida a questo settore come agli altri, rispetto a quello che è un ripensamento delle loro linee produttive, delle loro supply chain, di che cosa effettivamente viene immesso sul mercato e dal mio punto di vista, è quello che ho sempre cercato di spiegare, il problema non è il fatto che un prodotto costi tanto e quindi si limiti l’accesso alle persone ma il fatto che le persone abbiano molto spesso la percezione di poter acquistare tutto perché costa poco e di quel tutto non ne hanno bisogno e non si rendono conto di come è stato prodotto, di come è stato fatto e di quale danno sta causando. Il vero problema è questo.

6. Digitalizzazione e Sostenibilità sono i nuovi paradigmi del Sistema Lusso? Quali scenari di cambiamento sta affrontando l’Alta Moda?

Digitalizzazione e Sostenibilità sì lo sono. Sono i mantra. Perché in realtà il digitale vuol dire, oggi come oggi, parte comunicazione, vuol dire digitalizzare la parte o phygitalizzare la parte dei negozi, vuol dire lavorare sui processi produttivi anche con la parte di diminuzione degli sprechi quindi anche di tutto quello che è, ad esempio, lo stampo della realizzazione dei campionari in 3D andando a limitare le quantità prodotte. Nel mondo della digitalizzazione e della sostenibilità metterei anche tutti i mondi della Blockchain, tutto quello che consente il controllo della filiera, il capire la parte dell’autenticità del prodotto, sostenibilità e comunque riciclo e riutilizzo di ritorno, più che sostenibilità si parla di circolarità, di come andare ad allungare, completare tutti quelli che sono i cicli della produzione, alla vendita, al riuso. Quindi sono delle modalità ancora più complesse e dove se parliamo di sistema Lusso Puro, il Lusso ha sempre avuto in qualche modo forse la digitalizzazione meno ma la parte di sostenibilità è sempre stata molto nell’ottica del prodotto di lusso, perché il prodotto lusso è sempre stato fatto per durare, per avere continuità nel tempo, per avere qualità, per avere possibilità di essere riutilizzato, riadattato, reinventato. Quindi il Lusso vero questo lo ha sempre consentito, il digitale è qualcosa che è arrivato come risultato dei tempi, come valore aggiunto e sì sono delle grandi possibilità.

In termini di cosa sta succedendo all’Alta Moda, si sta adattando a tutto questo. Oggi esiste un’Alta Moda che nasce dal concetto di sostenibilità e un’Alta Moda che nasce dal concetto di digitale, penso a Brand che sono fatti di Alta Moda che utilizzano tutta la parte di modellistica e di stampa in 3D o brand di Alta Moda che nascono da materia prima riciclata o materia prima sostenibile. Certamente c’è anche nell’Alta Moda un impulso nell’andare in questa direzione e poi non dimentichiamoci mai che l’Alta Moda è sempre stata il regno dell’Artigianalità quindi ancora una volta il prodotto che per sua stessa definizione era fatto per durare nel tempo, per avere qualcosa di tramandabile del tempo. Quindi il cambiamento dell’Alta Moda è sempre per “meno persone”, (se vogliamo) è più elitaria perché ancora una volta richiede processi più complicati, perché richiede personalizzazione, perché richiede cura, richiede attenzione, qualità, perché richiede tempo ed è qualcosa cui il mondo più in generale della moda forse non è più abituato. Il tempo per fare le cose: ci vuole tempo, ci vuole sapienza, ci vuole conoscenza e quindi il grande cambiamento, la grande domanda originaria del cambiamento è se le giovani generazioni vorranno portare avanti o vorranno continuare a fare e a dare il loro contributo a un mondo che è la vera eccellenza e la vera unicità.

7. 24ORE Business School come risponde ai cambiamenti e alle nuove esigenze del mondo della Moda?

Il grande lavoro che noi abbiamo fatto in questi anni è stato quello di andare ad adattare tutta quella che è l’Offerta Formativa sia dal livello Post-Laurea quindi Master per neolaureati sia quelli che sono i Master per gli Excecutive. All’interno della 24ORE Business School esistono dei Master full time in italiano e in inglese, ognuno con dei temi più specifici: per esempio Roma ha un focus sull’innovazione, sostenibilità e startup; Milano ha un focus in più sul mondo del Fashion e del mondo digitale.

Il master in lingua inglese è fatto con espressa focalizzazione sul mondo del “Made in Italy”, i mondi artigianali delle nostre eccellenze. Si sono poi affiancati dei percorsi “Executive” che invece aiutino chi già è all’interno delle aziende ad acquisire nuove competenze sempre più in linea con i tempi oppure chi pur avendo esperienza per altri settori vuole capire meglio qual è la logica del mondo del lusso. Ci sono poi tutta una serie di Master part-time sulle aree Comunicazione, sulle aree Marketing, Retail, dei Master più specifici sul mondo del Merchandising. A Novembre partirà anche un Master part-time sul mondo della Sostenibilità e dell’Innovazione all’interno del Fashion, perché ci rendiamo conto che sempre di più le aziende ricercano figure professionali che sappiano, che arrivino già con un background di competenze, sia a livello di hard che di soft-skills, in grado di essere inseriti immediatamente all’interno dell’ambiente aziendale e di dare un contributo che possa aiutare l’azienda a colmare quei gap, a colmare quelle lacune che molto spesso si creano proprio perché molto spesso in aziende soprattutto se non di grandi dimensioni, parliamo di aziende familiari oppure di piccole aziende, non sono in grado di sviluppare come competenze all’interno e quindi c’è un una grande richiesta in tutte le aree che vanno dall’E-commerce al Digitale, al Retail a un nuovo modo di fare Rebranding, di fare comunicazione digitale che hanno bisogno di essere strutturate in maniera funzionale a quelle che sono poi le richieste delle aziende del Fashion e del Lusso. È il grande impegno che il 24 Ore Business School sta mettendo proprio nello sviluppo a 360° di un’offerta che possa andare a coprire le aree di cui parlavamo, le maggiori figure professionali possibili richieste dal mercato con un ricambio sempre più veloce.

Da oltre 25 anni Education e Alta Formazione sono la ricetta vincente. Negli anni dai nostri corsi sono usciti centinaia di studenti che sono tutti oggi in posizioni di rilievo a seconda degli anni in cui sono usciti e poi della competenza, dell’esperienza che hanno sviluppato ma tutti partendo da quello che noi gli abbiamo dato e portandolo all’interno delle aziende. Vediamo in queste persone una testimonianza, un give-back in termini d’immagine altissima. Loro sono per noi la migliore immagine, quando escono con un background completo, entrano in azienda, li apprezzano e a loro volta si sentono apprezzati proprio per le competenze che hanno acquisito, per il contributo che possono andare a quella aziende, questo per noi è veramente una grande cassa di risonanza, per le aziende è invece un modo di il modo di avere figure professionali formate e per chi ha investito veramente all’interno dei Master anche un livello di soddisfazione altissima per il ritorno in termini di quello che è stato il loro percorso. Spesso vediamo persone che hanno fatto Master full time quindi da neo-laureati, tornare sette, otto, dieci anni dopo per continuare altri Master o altre attività che possono essere per loro complementari nel loro sviluppo professionale nelle loro carriere professionali.

BIO

Annamaria Tartaglia – CEO TheBrandSitter, Founder Angels4Women, W20 (G20) Delegate Laureata in Marketing e Comunicazione, EMBA in Leadership (IMD Losanna), EMBA in Arte e Gestione dei Beni Culturali ha lavorato in agenzie internazionali di pubblicità (TBWA, B Communications GGK, Attila&Co) come Strategic Planner e ha poi proseguito la sua carriera nel mondo della moda, del lifestyle e del lusso. Tra le sue esperienze manageriali aziende quali Trussardi e Ferragamo in qualità di Global Marketing e Communications Director, Superga e Value Retail come Chief Marketing & Communications Officer. Attualmente è CEO di TheBrandSitter, be spoke factory dedicata allo sviluppo strategico di marchi alto di gamma nei mercati internazionali e fondatrice di Angels4Women, il primo gruppo d business angels donne nato per sostenere e sviluppare start up al femminile. E’ impegnata nello scouting, mentoring e formazione di giovani talenti che supporta nei loro percorsi imprenditoriali con innovatività, visione e capacità di coaching. Nel 2019 è stata nominata da Startup Italia come una delle 1000 donne che stanno cambiando l’Italia (#unstoppablewomen), finalista nel 2020 del Premio Business Angel dell’anno ed è delegata di W20, il gruppo di interesse della società civile che ha lo scopo di elaborare proposte di policy su gender parity, imprenditorialità e empowerment per i leader dei paesi membri del G20. Ha pubblicato il libro “Il Lusso… Magia&Marketing. Presente e futuro del superfluo indispensabile” (Ed. Franco Angeli – 5 edizioni dal 2005 ad oggi), è coordinatore scientifico dell’area Luxury&Fashion Management per BS24 e visiting professor presso le Università e le scuole più qualificate in Italia e all’estero (Boston, Doha, Mosca, Ginevra, Dubai).

Credits: © Courtesy of Annamaria Tartaglia – 24 Ore Business School